Il Maso
Il Maso, dal termine dialettale trentino màs, è un’abitazione rurale tipica del Trentino-Alto Adige, di solito costruito in legno e sassi e composto da un fienile, una stalla e una piccola stanza per la preparazione del formaggio e la cottura dei cibi. E’ circondato da prati destinati allo sfalcio o al pascolo e spesso vi si trova un piccolo vigneto.
Il Maso è un mondo. Contiene molte evocazioni, a livello di territorio, clima, tradizioni e genti. Raccontarlo nei pochi centimetri quadrati di un’etichetta è una sfida.
Maso Cervara
Se nei primi anni del Novecento vi foste recati nella Piana Rotaliana, appena fuori dal comune trentino di Mezzolombardo, avreste trovato l’ingresso alla silenziosa Val di Non, immersa nella pace, nei frutteti e nei vigneti. La quiete era interrotta solo ogni tanto dallo sferragliare di un treno sulle rotaie. La piccola stazione della linea Trento-Malè fungeva anche come luogo di ristoro per i viaggiatori che, in attesa di iniziare un viaggio, potevano aspettare all’osteria della stazione mandando giù un bicchierino di Teroldego Rotaliano (probabile italianizzazione di “Tiroler Gold”, “Oro del Tirolo”), il vino autoctono di queste splendide terre.
Seduti ad uno dei pochi tavoli di legno, avreste potuto ammirare i due ettari di vigneto e la piccola cantina in cui erano lasciate a riposare al fresco le bottiglie di questo vino, prodotto con le uve di un solo appezzamento di terreno, quel quadrato di terra che avevate davanti. L’osteria si chiamava “La Cervara”: Il luogo era circondato da fitte foreste e si chiamava così perché, all’alba, i cervi scendevano al maso alla ricerca di uno dei loro cibi preferiti: i germogli delle viti.
Nell’etichetta del vino che ancora oggi nasce da questo vigneto i nomi “Maso” e “Cervara” veicolano due verità storico-territoriali da valorizzare. L’etichetta è nera con inchiostro metallizzato (ricordate? Tiroler Gold) e ben trasmette l’idea dell’esclusività del prodotto.
La scelta di inserire nell’etichetta i palchi di un cervo, poi, è una stranezza “parlante”. Non avrebbe senso, nell’etichetta di un vino, inserire un simile elemento grafico a meno che non ci sia una storia di mezzo.
Ecco un trucco per raccontare una grande storia in pochi centimetri quadrati, e per veicolare al consumatore suggestioni, sublimazioni. Ecco un vino buono, direste, ma che diavolo ci fa un cervo sopra? I più curiosi di voi andrebbero a googlare, scoprirebbero dei cervi, lo direbbero ai commensali. Ed ecco un’etichetta muta che fa il suo mestiere: racconta il territorio dove il vino è nato, da sempre la migliore storia da raccontare.
Maso Toresella
Affacciati al Lago di Toblino ci sono sei ettari e mezzo di vitigni Chardonnay, rinfrescati dai venti della Valle dei Laghi, a 250 metri sopra il livello del mare.
È qui che soffia una brezza soave, l’Ora del Garda., che rende il clima mite e l’ambiente idoneo alla crescita di vini di grande eleganza e finezza del gusto.
In questi luoghi, bonificati nel ‘500 dalle paludi del fiume Sarca, i principi vescovi di Trento decisero di insediarsi rendendolo presto uno dei più floridi e produttivi luoghi dell’intero trentino, dov’era possibile esercitare allevamento, bachicoltura e viticoltura. Oggi, sopra gli ettari di terreno svetta una torre cilindrica neorinascimentale, costruita nel 1907: il simbolo del Maso.
Il lavoro per Maso Toresella è nato su questa immagine. A seguire la vetta della torre l’etichetta si è fatta a punta, scura di pregio e stampata in oro a sottolineare il merito delle uve: 100% Chardonnay, nel 2018 Medaglia d’argento come Chardonnay du Monde.
Uve magnifiche e territorio con oltre duemila anni di storia: accanto al nome del Maso, che possiamo supporre derivare da una denominazione locale consuetudinaria, la torre.